29/04/2014
Evento inserito nel ciclo: La parola di Corrente
Tipo di evento: Altro
Relatori: Tutti, Papi Fulvio,

Agricoltura alimentazione EXPO 2015

A proposito dell’EXPO temo di dover dare ascolto alle critiche degli esperti che hanno sottolineato come dal punto di vista essenziale della gestione della città in un’epoca di violente mutazioni climatiche, della diminuzione delle disponibilità energetiche, del recupero efficiente di aree dismesse e, in generale, di un intervento urbanistico razionalizzato, si sia perduta una occasione straordinaria. Si può certamente dire che tutto era incominciato in modo sbagliato e si può sperare che l’impresa, così come viene costruendosi, potrà costituire un bilancio positivo. Ma, purtroppo, il passato non può essere modificato nemmeno da Dio e il futuro dipende dall’intreccio di molte ragioni contingenti per cui la previsione non ha nulla a che vedere con la previsione nel sistema di Laplace. Per quanto riguarda il passato sarebbe molto interessante avere una relazione pubblica (qui non c’è segreto di stato) su quante sono le spese sostenute dall’inizio sino ad ora cercando di capire quali fossero necessarie, quali utili nella qualità e nella quantità e quante invece appartengono a uno sperpero che deriva, come molti sospettano, dalla modalità privata (che è un termine molto educato) che ha caratterizzato l’impresa. La ridicola trasparenza che si chiede ad enti poverissimi e di alta cultura, sarebbe bene applicarla a imprese di questa natura che, per il senso in cui si sono presentate e che desiderano ribadire, non possono essere ridotte a pure occasioni di affari. Sarebbe una occasione di consenso pubblico e di grande tranquillità sociale di cui l’ente locale, come gli auguro, ha sempre bisogno. E poiché la curiosità provoca nuova curiosità, sarebbe interessante sapere, al di là delle conseguenze penali che il tribunale ha stabilito non esistono, quanto denaro pubblico si è volatilizzato nell’acquisto, avvenuto in passivo, di titoli-carta straccia tramite operazioni finanziarie che fanno pensare a persone superficiali e sprovvedute o incompetenti, anche se confortate magari da pareri di consulenti. La cui sola parola a un liceale d’altri tempi fa subito venire in mente “dum Romae consulitur Saguntum capta”. Lasciamo perdere i “boatos” (in portoghese sussurri) dei maligni che sostengono che, oltre le banche vincenti, altri possono aver trovato profitto in queste operazioni. Di una cosa sono certo che questa storiografia, pur necessaria, è sempre melanconica.

Ma ora l’analisi si deve spostare sul contenuto culturale dell’EXPO che è dedicato al problema dell’alimentazione mondiale nel prossimo futuro. Papa Francesco ha detto: “La necessità di risolvere le cause strutturali della povertà non può attendere non solo per una esigenza pragmatica di ottenere risultati e di ordinare la società, ma per guarirla da una malattia che la rende fragile e indegna e che potrà solo portarla a nuove crisi. I piani assistenziali, che fanno fronte ad alcune urgenze, si dovrebbero considerare solo come risposte provvisorie”. Ho preso questa citazione dal saggio di tre studiosi cattolici, i proff. Marocco, Mora e Trevisi che hanno pubblicato su “Vita e Pensiero” del gennaio-febbraio 2014, con il titolo “Verso Expo 2015: sfida per una agricoltura sostenibile”. Sarà la mia ignoranza, ma non mi è capitato di leggere analisi simili nell’area politico-culturale, cosiddetta, laica e non dubito che un sapere positivo deve essere sostenuto all’origine da una forte opzione morale. L’intelligere intorno ad alcuni problemi umani è sempre sollecitato da una presa di posizione etica, altrimenti, volere o no, è un tecnicismo povero di senso o il cui senso è riposto altrove, e un altrove povero e deprimente. Ora riprodurrò alcuni temi centrali dell’ottimo lavoro, qualche volta riassumendo il testo e qualche altra volta facendone direttamente memoria. Terminerò con una riflessione si sarebbe detto un tempo, di “filosofia della storia” ma del resto queste analisi dedicate all’impatto sociale della produzione agricola, contengono di fatto una dimensione storica.

Per secoli vi è sempre stato equilibrio tra l’azione antropica come agricoltura e un insieme di condizioni generali che la rendevano possibile e in qualche caso più proficua e in altri meno. Ma era pur sempre un equilibrio. “Oggi l’intensificazione delle pratiche agricole e di allevamento ha sollevato varie criticità di natura ambientale, quali la qualità dell’aria, dell’acqua, l’impiego alternativo di risorse (idriche, vegetali, suolo), la biodiversità, il benessere animale, la qualità del paesaggio, e riflessi sul clima, con riflessi locali e globali, una crescente quota dell’opinione pubblica, specie nei paesi occidentali, ha radicato la convinzione che le attività agricole e gli allevamenti animali abbiano una responsabilità enorme sulla sostenibilità ambientale, ben superiore a quella reale”.

Questa non è una chiacchiera insensata ma il suo significato vero e non superficiale va collocato in una analisi complessiva. Ci attende, questo lo dico io, una situazione malthusiana. La popolazione è in continua crescita e questo fatto non potrà che vedere una crescita della domanda di cibi di origine animale e, nello stesso tempo, l’esigenza di contrastare il cambiamento climatico. Nonostante i miglioramenti che hanno avuto luogo, c’è quasi un miliardo di individui che soffrono la fame. È aumentata nell’ultimo periodo storico la produzione pro capite di calorie, ma il problema, (osservano molto giustamente gli autori) non è solo quella della quantità in assoluto, ma anche dell’accessibilità. Cioè il tradizionale guasto delle statistiche. Ci sono infatti zone dove si sono registrati miglioramenti (Asia occidentale e America Latina), mentre in altre no, e peggioramenti vi sono stati nell’Africa subsahariana e nell’Asia meridionale. Si è aggiunta una volatilità dei prezzi determinata dalla varietà di produzioni (e qui la spiegazione può allargarsi) e anche dagli impatti conseguiti al cambiamento climatico. L’eccessiva dipendenza del commercio finisce con lo sfavorire gli strati più poveri della popolazione. Non credo sia un eccesso da parte mia se aggiungo che la trasformazione di ogni prodotto in merce crea immediatamente il problema della accessibilità al mercato. Ma nel modo d’essere della storia contemporanea esiste a livello spontaneo e non regolato un’altra modalità produttiva? E poi, localmente, vi sono aspetti condizionati dagli stessi elementi produttivi che aumentano gli sprechi e questi sono tipici in paesi più poveri. Resta centrale “la questione se il sistema di produzione agricola sarà in grado di produrre ancora cibo in quantità sufficiente e se l’andamento climatico, la modificazione di ambiente e di ecosistemi consentiranno di sostenere il futuro del pianeta e, contemporaneamente di garantire una disponibilità di risorse sufficiente”: ora va riconosciuta che questa è la domanda storica di ogni essere umano nel quale conviva il senso morale della sua finità e la dimensione della responsabilità proiettata nel futuro. È una posizione che assomiglia non poco, quanto ad esigenza etica, al tempo in cui si discuteva sul senso che aveva per ognuno di noi una situazione atomica che avrebbe precluso ogni dimensione di futuribilità. Aggiungerò, e non temo di passare per un “moralista”, ma chi non vede questa prospettiva anche nel quotidiano non solo manca cristianamente di caritas, ma dal mio punto di vista degrada la stessa condizione dell’uomo.

La situazione oggettivamente non è spontaneamente favorevole. A metà del secolo avremo bisogno di un aumento di alimenti fondamentali dal 60% al 110% mentre lo sviluppo attuale visto nella sua progressione può arrivare al 38% o al massimo al 67%. Naturalmente questa è una simulazione mentale di tipo statico, nella realtà bisogna tenere conto di notevoli squilibri geografici. Sempre in una generalizzazione egualitaria dei necessari consumi a livello planetario la situazione in termine di racconti può essere descritta in questo modo. Entro il 2050 sarà necessario raddoppiare la produzione di cibo e per ottenere questo risultato sarà necessario estendere i terreni di coltura, misurare il costo ambientale sopportabile, le emissioni di carbonio e la biodiversità. Un equilibrio estremamente difficile da raggiungere: basti pensare che raddoppiando l’attuale gestione della terra si rovinerebbero vaste aree di terra, e si inquinerebbero fiumi ed oceani.

I nostri autori indicano cinque direttrici per affrontare il problema che, immaginato nei suoi effetti sociali, ha l’aspetto di una situazione catastrofica. I cinque punti sono i seguenti:

  1. introdurre varietà geneticamente migliorate e nei paesi in via di sviluppo ridurre il divario tra produzione attuale e produzione potenziale. Contemporaneamente a misure che siano rilevanti a livello economico e sociale, inclusa, importantissima, la distribuzione delle sementi;
  2. riduzione del consumo di carne e ridurre l’alimentazione animale. Con notevole risparmio di legna e superfici coltivabili. Una dieta basata sui vegetali consente di ottenere un incremento anche del 50% delle calorie disponibili. Tuttavia l’alimentazione ha bisogno di carne, quindi occorre trovare un punto di equilibrio tra le diverse esigenze;
  3. occorre ridurre gli sprechi, dato che un terzo degli alimenti prodotti viene sprecato;
  4. la riduzione dell’espansione della coltivazione a scapito di foreste e savane tropicali e una gestione sostenibile nel tempo della fondamentale risorsa terra. Molte terre fertili sono andate perdute per il processo di urbanizzazione. La necessità di un equilibrio tra culture vegetali per l’alimentazione umana e per quella animale. Gestire la competizione fra la produzione alimentare e l’incremento di energie rinnovabili;
  5. l’uso efficiente dei fertilizzanti e dell’acqua. Tenendo conto che il 20% delle terre coltivabili genera il 30% dell’inquinamento da fertilizzanti. Occorre affrontare un uso razionale per la fertilità dei terreni delle deiezioni animali la cui dispersione riversa enormi quantità di azoto e fosforo nell’ambiente. La misure che derivano da un agricoltura biologica consumano più terra, ma esistono concrete possibilità di rimediare.

 

Il cambiamento climatico è stato deleterio nell’insieme dei suoi effetti e in questa situazione ciò che si può fare viene così riassunto: a) evitare l’eccesso di specializzazione nella produzione animale e vegetale. b) Equilibrata distribuzione geografica degli allevamenti animali. c) Promozione di linee guida nutrizionali nei paesi ricchi. d) produzione di biomasse solo in aree marginali e il riciclo di prodotti agricoli.

 

Ho riferito nelle linee essenziali i risultati della ricerca di tre specialisti di primo grado. Probabilmente su questo terreno potranno esserci tecnicamente opinioni diverse. Un filosofo come me non avrebbe alcun criterio valido per un tema di questa natura. Tuttavia per quanto mi compete posso introdurre alcune osservazioni di ordine generale. Credo sia perfettamente valida la considerazione secondo cui i provvedimenti presi localmente non raggiungono mai l’obiettivo desiderato.

Più in generale, anche in questo ottimo studio sui problemi dell’alimentazione e dell’agricoltura, alla fine mi ritrovo nella stessa situazione in cui i grandi economisti americani mi hanno lasciato, al termine delle loro analisi sulla gravissima crisi finanziaria: intellettualmente gli esperti sono in grado di indicare misure efficienti per evitare una catastrofe alimentare come un disastro economico finanziario. Quindi il sapere esiste. Ciò che manca è la possibilità di indicare un soggetto politico che su scala mondiale sia in grado di prendere le misure necessarie e complessive per evitare di precipitare in una china irrimediabile che tuttavia, anche in un disegno elementare, si comprende che peserebbe tragicamente molto di più sui poveri del mondo, anche se nessuno probabilmente potrebbe essere del tutto indenne. Un filosofo che già, anni or sono, indicava l’elegante sordità del pensiero filosofico rispetto agli orizzonti catastrofici che si profilavano, ora non può sfuggire alla domanda intorno alla genealogia che, nel caso esaminato, coinvolge l’agricoltura e l’alimentazione nel loro reciproco rapporto. È ovvio considerare in primo piano lo sviluppo demografico: le tesi di Malthus avevano una loro base che l’ideologia dell’infinito progresso mise in silenzio. Tuttavia in secondo luogo è corretto chiedersi severamente quale è stata per due secoli la gestione dell’economia. Non è il caso di riprendere qui considerazioni teoriche complesse. Credo basti dire che il “motore” è stata sempre una riproduzione economicamente allargata che aveva il suo centro nel profitto, e in direzione di esigenze collettive solo se esse favorivano l’incremento del profitto. Sembra una genealogia marxiana, ma è molto simile, se non eguale, all’umanesimo di Papa Francesco. Mi domando solo se la famosa EXPO 2015 abbia in mente o no questi problemi.

 

Fulvio Papi (Presidente del Comitato Scientifico della Fondazione Corrente)