La mostra “Mino Ceretti. Una ricerca sull’identità tra segni e figure”, a cura di Giorgio Seveso, presenta trentotto fogli di anni diversi, disegni dipinti o pastelli disegnati di un maestro milanese che non ha mai smesso di ricercare. Con due argomenti, l’identità declinata nel ritratto e quella ricercata nei segni di scritture alfabetiche vere o inventate, protagonisti della tematica generale che da sempre sospinge le sue indagini. Una tematica fatta soprattutto di domande aperte, di curiosità e fervore intellettuali circa il rapporto tra la rappresentazione simbolica e la realtà.
Classe 1930, e dunque decano della pittura di questi anni, uscito dall’Accademia di Brera alla metà degli anni Cinquanta, Ceretti è subito al centro del gruppo del Realismo esistenziale che agisce sul piano di una pittura significante, tra le sponde di una figuratività impegnata e le dilatazioni dell’informale. Per poi investigare nel corso di una vita creativa tutt’ora fervida ogni aspetto pratico e teorico del rapporto tra l’immagine e la storia in atto degli uomini.
«La pittura è un destino» diceva tempo fa Ceretti nel corso di una conversazione-intervista.
E per un artista come lui certo si è trattato di un destino assolutamente immanente, di un fato difficilmente sfuggibile. Di qualcosa, cioè, che l’ha occupato appassionatamente nel lavoro creativo e nell’insegnamento, e di cui tuttora vive intensamente le vicende senza che la sua curiosità intellettuale, culturale e umana assieme al suo vigore creativo si siano mai attenuati o abbiano cambiato segno e misura.
È un atteggiamento di indagine e creatività che ha più di un punto d’incrocio e di relazione con ciò che è stato il movimento di Corrente per la pittura, nel suo rifiuto del novecentismo e della retorica espressiva, così come in lui c’è stata sempre e c’è ancora come l’ansia continua di una ricerca profonda, tutta singolare e tutta indipendente dalle indicazioni delle tendenze di moda. Una possibile e suggestiva interpretazione del destino della pittura in un tempo come il nostro di trionfanti superficialità.
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